Callinectes sapidus

Disambiguazione – Se stai cercando l'artropode marino talvolta indicato come granchio reale, vedi Limulus polyphemus.
È in corso un vaglio per migliorare la qualità di questa voce.
Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Granchio blu
Femmina di Callinectes sapidus presso il Museo dei bambini di Indianapolis
Stato di conservazione
Specie non valutata
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa Bilateria
PhylumArthropoda
SubphylumCrustacea
ClasseMalacostraca
SottoclasseEumalacostraca
OrdineDecapoda
SottordinePleocyemata
InfraordineBrachyura
SezioneEubrachyura
SottosezioneHeterotremata
SuperfamigliaPortunoidea
FamigliaPortunidae
SottofamigliaPortuninae
GenereCallinectes
SpecieC. sapidus
Nomenclatura binomiale
Callinectes sapidus
Rathbun, 1896

Il granchio blu[1] o granchio reale blu[1] o granchio nuotatore[2] (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) è un crostaceo decapode brachiuro della famiglia Portunidae[3] tipico di estuari, lagune e altri ambienti salmastri ma presente anche in acque dolci e marine costiere. È una specie autoctona delle coste atlantiche del continente americano dove rappresenta un importantissimo prodotto della pesca in quanto le sue carni sono molto apprezzate in cucina. È stato ampiamente introdotto e acclimatato al di fuori del suo areale naturale, spesso con gravi effetti dannosi sulle comunità biologiche e sulle popolazioni di molluschi di interesse economico.

È segnalato sulle coste atlantiche europee dall'inizio del Novecento, e nel Mediterraneo orientale dagli anni '30-'40. Pur essendo già presente da metà '900 nell'intero Mediterraneo, l'aumento particolarmente rapido e invasivo della sua diffusione nel settore occidentale a partire dal secondo decennio del 2000 ha suscitato notevole interesse scientifico ed allarme sui media generalisti.

Distribuzione e habitat

Areale nativo

La specie è originaria della parte occidentale dell'oceano Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla Nuova Scozia all'Uruguay[4] comprese le Bermuda, l'intero golfo del Messico, il mar dei Caraibi e le piccole e grandi Antille[5]. Nelle acque nordamericane è storicamente riportata la presenza di popolazioni stabili a nord fino a Capo Cod in Massachusetts mentre le segnalazioni in stazioni più settentrionali erano perlopiù riferite a individui o gruppi di individui erratici[6] presenti solo durante la stagione calda[7] e non a popolazioni in grado di autosostenersi data l'assenza di femmine ovigere[8]. Nel 2015 è stata però accertata la presenza di una popolazione stabile nel golfo del Maine, circa 500 km più a nord[8]. La distribuzione nella parte sud dell'areale è meno nota: alcune fonti riportano l'Uruguay come limite meridionale[4][9] mentre altre riferiscono la sua presenza nel nord dell'Argentina senza però dare informazioni sulla consistenza e la stabilità delle popolazioni[5][10].

Specie introdotta

Granchio blu fotografato sott'acqua

La specie è stata introdotta in numerose aree esterne al suo areale come il mare del Nord[4][11], il mar Baltico[4][12], il Mar Nero[4][13], il mar Mediterraneo[4][14] e il Giappone[4][5]. La via di introduzione più probabile è quella accidentale dovuta a stadi larvali pelagici rilasciati assieme alle acque di zavorra delle navi. Altre vie di arrivo di questa specie prese in considerazione sono rilasci più o meno intenzionali, trasporto passivo sugli scafi o in ammassi di alghe o espansioni naturali dell'areale[7]. Tuttavia l'abbondante presenza di questa specie nei pressi di grandi porti negli Stati Uniti e l'ubicazione delle prime colonie in Europa all'interno di aree portuali con traffico transatlantico rendono l'ipotesi del trasporto nelle acque di zavorra quella più probabile e universalmente accettata[15]. Analisi genetiche sui granchi blu del Mediterraneo hanno mostrato una bassissima diversità genetica dovuta all'effetto del fondatore, risulta dunque che l'intera popolazione mediterranea (e probabilmente europea) deriva da pochissimi effettivi eventi di introduzione[16].

Le prime segnalazioni per l'Europa risalgono al 1900 sulla costa atlantica settentrionale francese da cui si è diffusa alle acque dei Paesi Bassi, Germania e Danimarca[17] rimanendo però sporadico con segnalazioni occasionali almeno fino al 1965. Nel mare del Nord, un aumento delle popolazioni si è riscontrato a partire dal 1975[18], mostrando comunque abbondanze molto inferiori a quelle riscontrate nel Mediterraneo[14]. La presenza nel mar Mediterraneo è stata accertata la prima volta nel 1937 nel mar Egeo, quindi in Egitto nel 1940[19] e un anno dopo nell'Adriatico settentrionale; le prime popolazioni naturalizzate nel mar di Levante e nell'Egeo vengono segnalate solo dal 1959; a partire da questi primi nuclei di colonizzazione si assiste a una rapida diffusione della specie nella parte orientale del Mediterraneo mentre, almeno fino al 2006 le segnalazioni per il Mediterraneo occidentale sono sporadiche, occasionali e senza segni di naturalizzazione[20]. Nel 2008 la situazione fotografata dall'atlante delle specie aliene del mar Mediterraneo della CIESM[4] riporta la specie come frequente nel Mediterraneo orientale dall'Egitto alla parte meridionale del mar di Marmara, compresa l'isola di Cipro, e nel golfo di Salonicco, mentre risultava poco comune nell'estremo nord del mare Adriatico. Segnalazioni occasionali erano riportate per il mar Ligure, il golfo del Leone, Malta, il mar Ionio e per entrambe le coste dell'Adriatico centrale[4]. A partire dagli anni 2000[19] ma soprattutto nel 2016-2023, la diffusione nel Mediterraneo occidentale ha avuto un forte incremento colonizzando tutte le coste del bacino e anche aree esterne allo stretto di Gibilterra come le coste atlantiche della Spagna[21] e del Marocco[21][22] e colonizzando perfino le isole Canarie[21]. Questa espansione ha avuto talvolta velocità esplosiva come nei casi delle foci dei fiumi Neretva[23] o Ebro[24]. L'espansione verso il bacino occidentale, più freddo, del mar Mediterraneo potrebbe essere correlata con l'aumento delle temperature medie di questo mare[25] dato che la presenza di habitat idonei e condizioni ambientali favorevoli appare positivamente correlata con l'aumento delle temperature ambientali[26].

Al 2023 il granchio blu risulta presente e naturalizzato in tutto il Mediterraneo[11].

In Grecia

Il C. sapidus è stato avvistato nelle acque greche sin dalla fine degli anni 1940[27] e risulta particolarmente abbondante nella parte settentrionale dell'Egeo. La sua presenza si è però stabilita nello Ionio solo negli anni 2000, sia in acque greche che nelle vicine Croazia, Albania e Montenegro, e ciò malgrado che lo Ionio offra un habitat più adatto alla specie, con estuari o lagune costiere, al contrario dell'Egeo. La ragione risiede nella temperatura dell'acqua, più elevata nell'Egeo e che quindi favorisce lo sviluppo larvale dei granchi[28].

Il consumo dei granchi è minore sulle coste ioniche. Di contro, nel nord dell'Egeo, il C. sapidus viene pescato e venduto al mercato di Salonicco[29] e pescato in Turchia con delle nasse[30].

In Francia

Benché la presenza del granchio blu sia stata registrata sin dai primi del Novecento sulle coste atlantiche francesi, la sua introduzione nel Mediterraneo è più recente[17]. Le prime notizie di quest'introduzione risalgono al 1962, quando, nella laguna di Berre alcuni esemplari erano stati pescati[31]. A partire dal 2016, la sua presenza si è diffusa in molte lagune della costa mediterranea francese e della Corsica[32]. In Corsica in particolare, le prime notizie della specie risalgono al 1933, ma è a partire dal 2019 che si è rapidamente diffusa lungo le coste dell'isola. Nel 2020 è stata confermata la riproduzione del granchio blu nelle acque corse[33].

Col fine di combattere la diffusione invasiva della specie, diversi strumenti di pesca specializzati sono stati sviluppati e testati, in particolare in Francia. Sebbene i risultati in ambiente controllato siano stati positivi, la loro applicazione in ambito naturale non ha portato i frutti sperati[34]. Le esche non vengono attaccate dai granchi probabilmente a cause dell'abbondanza di cibo in natura. Le nasse con inganni a maglie rafforzate hanno dato i risultati migliori per la cattura dei granchi blu[35].

In Italia

Individuo femminile in posizione d'attacco; è visibile la caratteristica colorazione delle chele

In Italia le prime segnalazioni ufficiali riguardano Marina di Grado e la Laguna di Venezia e datano, rispettivamente, 1949 e 1951; poi, in ordine di tempo, ci sono le segnalazioni per il porto di Genova (1965) e per la Sicilia (1970)[36]; la specie però non pare costituire popolazioni riproduttive almeno fino ai primi anni novanta del XX secolo, tanto che dopo le prime segnalazioni non si sono più avuti riscontri fino al 1991 nella Laguna di Venezia[36]. A partire dal nuovo millennio la colonizzazione delle acque italiane procede in maniera rapida: nel 2006 appare nel Golfo di Trieste[37] in seguito compare nel resto del mar Adriatico[38][39][40] compreso il delta del Po[41], nel mar Ionio[42], nel mar Ligure[43], in Sardegna[44][45], in Sicilia[46][47] e per ultimo viene colonizzato il mar Tirreno[48][49], bacino nel quale ancora nel 2019 la specie era considerata molto rara[50].

Nel 2021 risulta presente in tutti gli ambienti idonei dei mari italiani[51] spingendosi anche all'interno dei fiumi[52][53] fino a oltre 9 km[53].

In Spagna

Esemplare fotografato in Spagna

Sulle coste spagnole, Callinectes sapidus è presente dal 2003[19], anche se la sua presenza è stata sporadicamente osservata a partire dagli anni 2010, ad iniziare dalle lagune della regione dell'Albufera, vicino Valencia[54]. Il 6 dicembre 2014, un esemplare intrappolato in reti da pesca era stato catturato all'imboccatura del fiume Segura, nel sud-est della Spagna[55]. In seguito, la presenza di larve di granchio blu è stata registrata nelle isole Baleari[56].

In Spagna, il granchio blu è anche sfruttato come risorsa dal valore mercantile: femmine gravide vengono rilasciate in mare[57] e i granchi sono pescati ed esportati verso i mercati cinesi e coreani[58].

Habitat

L'habitat preferito nell'areale naturale dagli adulti di C. sapidus è costituito dalle foci fluviali e le baie a profondità da 0 a 90 metri (ma normalmente in acqua bassa non più profonda di 35 metri) con fondali di sabbia o fango[59]. Le praterie di fanerogame marine sono invece ambienti frequentati soprattutto dai giovanili e dalle ultime fasi larvali per evitare la predazione da parte degli adulti[60]. Il granchio blu è fortemente eurialino ed è reperibile da salinità marine[59] o addirittura superiori[4] all'acqua dolce; è in grado di risalire i fiumi anche per 195 km[59]. La tolleranza all'acqua dolce varia nella vita di un individuo: i primi stadi larvali non sono in grado di tollerare acque molto dissalate[61] e per questo motivo le femmine adulte, dopo aver raggiunto la maturità sessuale ed essersi accoppiate nelle acque poco salate degli estuari, migrano verso il mare o zone a salinità relativamente alta per la deposizione delle uova[59]. I giovani granchi sono invece tolleranti alla bassa salinità e si spostano verso acque salmastre[62]. In generale, tranne che nelle fasi giovanili e nel breve periodo di accoppiamento, i maschi stazionano in acqua salmastra e le femmine in zone a salinità marina o appena più bassa[63]. Tollera anche un'ampia gamma di temperature[4]; le temperature ottimali vanno da 12°C a 24°C con un optimum termico a 23°C[64]. Risulta infine sopportare anche concentrazioni di ossigeno disciolto molto basse riuscendo a vivere in ambienti nei quali la concentrazione di questo gas scendeva in estate fino a 0,08mg/l[65].

Descrizione

Biologo marino con una femmina immatura (a sinistra del lettore) e un maschio in vista addominale
Addome di una femmina immatura (in alto) e di una matura

C. sapidus ha il carapace largo oltre il doppio della lunghezza[66] con granulature[4] soprattutto nella parte anteriore[66]. Sulla fronte sono presenti due denti non appuntiti[66] di forma triangolare[4], sui lati del carapace nella parte anteriore e laterale sono presenti 9 paia di denti, il più posteriore dei quali molto più grande degli altri e trasformato in una robusta spina diretta esternamente[4]; l'aspetto della spina laterale è variabile tra gli individui e può essere più o meno acuminata o rivolta leggermente indietro[67]. I pereiopodi, ovvero le appendici toraciche o zampe, sono cinque paia delle quali il più anteriore, come in tutti i granchi, è trasformato in chele e definito chelipede; le chele sono molto robuste[66] e più lunghe delle altre quattro paia di arti[4]. Sul lato anteriore del mero, il segmento basale dei chelipedi, sono presenti tre robuste spine[66], mentre una è situata sul lato esterno nella parte finale[4]. Nel carpo, il segmento del chelipede successivo al mero, non sono presenti spine sul lato interno[4]. Il propodio, l'ultimo segmento del chelipede corrispondente alla chela vera e propria, è percorso da carene rilevate cosparse di granuli[67]. Come in tutti i Portunidae l'ultimo paio posteriore di pereiopodi ha i due elementi finali appiattiti in forma di paletta[68]. L'addome è, come in generale nei granchi, piccolo, appiattito e ripiegato sotto il torace, la sua forma costituisce il più evidente dimorfismo sessuale di questa specie: nel maschio l'addome ha grossolanamente la forma della lettera "T" ed è costituito da due segmenti basali larghi, mentre i restanti sono molto sottili; nella femmina ha forma triangolare negli individui immaturi e ovale rotondeggiante in quelli adulti[67][69].

La colorazione del lato dorsale del carapace ha una certa variabilità e va dal grigiastro al verde oliva con sfumature bluastre[4][66][67], le spine sui bordi del guscio possono essere rossastre. Le zampe sono di solito verde brunastro con parti variamente colorate di blu e bianco e articolazioni fra i segmenti talvolta rossicce[67]. La colorazione delle punte delle chele è un carattere che consente di distinguere i sessi: nei maschi sono blu mentre sono rosso aranciato nelle femmine[4][66][67], nel maschio la chela ha lati di colore blu[67], da cui deriva il nome comune.

La taglia massima riportata in letteratura per il granchio blu è una larghezza di 22,7 cm nel maschio e di 20,4 per la femmina[67].

Biologia

Mediamente la longevità del granchio reale blu è di 3 o 4 anni[70] ma può frequentemente arrivare a cinque ed eccezionalmente a otto anni[9].

Alimentazione

Due individui intenti a nutrirsi di un pesce volante

Il granchio blu è un animale onnivoro con una dieta scarsamente specializzata. L'alimentazione è basata su pesci, altri crostacei, molluschi e materiale vegetale. Studi condotti nell'areale naturale americano mostrano che la dieta di C. sapidus comprende prevalentemente pesci e loro resti[71][72], molluschi bivalvi[71][72], molluschi gasteropodi[72], policheti[72], crostacei anfipodi, decapodi e misidacei[72], alghe verdi del genere Ulva[71], fanerogame marine del genere Zostera[71] e perfino larve di insetti ditteri Chironomidae[72]. Gli individui di piccole dimensioni consumano relativamente più crostacei, molluschi e vegetali rispetto agli adulti che a loro volta predano animali più grandi e dotati di gusci più duri compresi molluschi bivalvi dotati di conchiglie massicce come le ostriche[71]. I bivalvi costituiscono una frazione consistente della dieta di C. sapidus, la conchiglia viene aperta dal lato della cerniera tagliando il legamento e i muscoli adduttori che tengono chiuse le due valve[73]; vengono scelti per primi gli individui più piccoli e più facili da aprire[74]. Studi condotti in laboratorio mostrano come individui sottoposti a una dieta esclusivamente vegetale abbiano mortalità molto più alta, minori tassi di crescita e minor potenziale riproduttivo di quelli alimentati con cibi animali[75]. Gli adulti mostrano una forte tendenza al cannibalismo nutrendosi frequentemente di altri individui di granchio blu[71], soprattutto delle classi di taglia inferiori[76]. L'alimentazione di C. sapidus nell'areale di invasività è poco nota: uno studio condotto nel golfo di Salonicco in Grecia riporta che la dieta si basa su molluschi bivalvi, crostacei e pesci tra i quali molte specie di grande interesse per la pesca come il cuore spinoso, il fasolaro, la vongola lupino, il cuore di laguna, la cozza, l'ostrica, la vongola verace e il cannolicchio tra i molluschi, il granchio verde e la mazzancolla tra i crostacei, la spigola, i cefali, i saraghi, la mormora, la triglia di scoglio, la sogliola, l'orata e l'ombrina tra i pesci nonché di policheti, piante terrestri come la salicornia e carogne di animali terrestri tra le quali quelle di gabbiani e serpenti[77]. Una pubblicazione del 2024 mostra come la dieta di C. sapidus nell'estuario del Guadalquivir in Spagna sia composta prevalentemente di pesci e molluschi, con frequenza minore di altri granchi, sedimento e materiale vegetale e solo marginalmente di policheti, gamberi, altri artropodi e cefalopodi[78] mentre uno studio del 2018 indica che nelle acque lagunari della costa mediterranea egiziana l'alimentazione di questa specie sia composta prevalentemente di molluschi seguiti da crostacei, pesci e sedimento e che le femmine consumino molti più molluschi e meno pesci dei maschi[79].

La dieta delle larve pelagiche di C. sapidus è scarsamente conosciuta ma sembra basarsi sullo zooplancton, sebbene comprenda anche una percentuale di fitoplancton sembra che una dieta basata solo su microrganismi vegetali non fornisca nutrienti a sufficienza per completare lo sviluppo larvale[71].

Riproduzione

Femmina ovigera fotografata in Uruguay

Il granchio blu arriva alla maturità sessuale tra i 12 e i 18 mesi di vita in base alla temperatura ambientale[70], dopo circa 18 mute, dopo la fase larvale; il numero di mute varia fra maschio e femmina, un po' più elevato per quest'ultima[80] nella quale può arrivare a 20[62]. Al raggiungimento della maturità sessuale il maschio misura mediamente 89 millimetri di larghezza[62]. Il momento dell'accoppiamento è fortemente influenzato dalle condizioni di salinità e di temperatura del mare, ma avviene sempre in acque salmastre[81] a bassa o media salinità, tipicamente negli estuari o nelle acque dissalate appena al di fuori di essi[82]. Il maschio può accoppiarsi più volte nella vita mentre la femmina può farlo solo una volta; la finestra temporale nella quale la femmina può venire fecondata è molto breve: dopo l'ultima muta (muta terminale o puberale) prima che il carapace si indurisca[62]. L'accoppiamento avviene generalmente in primavera[65] o in estate nell'areale nativo della specie[80]: il maschio avverte la recettività della femmina grazie a feromoni da essa rilasciati[62] e afferra la femmina immatura inserendo le sue chele fra quelle della femmina e il primo paio di zampe e la porta così fino alla sua ultima muta, quando sarà pronta all'accoppiamento. Lo sperma, trasportato da spermatofori, raggiunge le spermateca della femmina attraverso i due pori genitali situati sotto l'addome[80]. Le femmine migrano in seguito in mare aperto oppure in acque ad alta salinità[83]. La femmina può deporre oltre 2 milioni di uova[84], deposte fra i due e i nove mesi dall'accoppiamento[80]. La femmina immagazzina lo sperma ricevuto nell'unico atto di accoppiamento che è sufficiente per tre o più fecondazioni ma le deposizioni successive alla prima portano un numero minore di uova[84]. In climi miti nei quali la prima deposizione avviene in primavera può essere prodotta una seconda massa di uova nella tarda estate; pare che nei mari tropicali le uova vengano deposte tutto l'anno[65]. Dopo la deposizione le uova vengono trattenute sotto l'addome della femmina dove vengono tenute in loco dai pleopodi (appendici addominali) formando una massa di colore arancio dall'aspetto spugnoso[85]. Tutte le uova nella massa ovigera si schiudono contemporaneamente in unico evento[86]. Delle larve schiuse dalle uova, sopravvive circa lo 0,000001%. Le cause della mortalità larvale sono varie: possono venire mangiare da vermi o uccise da funghi, possono anche morire a causa della temperatura dell'acqua o della poca ossigenazione[87].

Sviluppo larvale

Larva zoea di un granchio non identificato
Larva Megalopa di un granchio portunide

Dopo la schiusa, C. sapidus passa attraverso due stadi larvali: quello di zoea e quello di megalopa[87]. Le larve zoea sono caratteristiche per la presenza di lunghe spine frontali e dorsali[88] e per la mancanza di appendici addominali[89]; passano attraverso sette stadi (raramente sei) separati l'un laltro da mute. Lo sviluppo della fase zoea dura da 31 a 49 giorni a 25°C; in questa fase la larva ha bisogno di acque a salinità marina e non tollera acque dolci o oligoaline[88] tanto da non superare il primo stadio di zoea in acqua a salinità inferiore al 20,1 per mille[90]. Le larve zoea fanno vita planctonica[91] in acque superficiali[61], sono attive nuotatrici e possono essere disperse su lunghe distanze dalle correnti[92]. Con il freddo invernale, la crescita rallenta fino a bloccarsi, ma riprende con l'estate. Lo stadio di megalopa dura dai 6 ai 20 giorni, prima che la larva diventi un giovane granchio[93][94][95]. La larva megalopa abbandona lo stile di vita planctonico per divenire bentonica[96], è comunque una forte nuotatrice ed è in grado di risalire gli estuari per portarsi nelle acque salmastre dove avverrà la maturazione[97]. La metamorfosi da megalopa a giovane adulto è indotta dalla diminuzione della salinità e dalla presenza nell'acqua di composti chimici tipici delle acque fluviali come gli acidi umici[98], durante questa fase le megalope si rifugiano tra le alghe bentoniche per avere riparo dalla predazione[99].

Giovane di 14 mm

Predatori

Video sulla predazione di un granchio blu da parte di un polpo messicano (video realizzato in un acquario durante una ricerca)

I predatori naturali del granchio reale blu sono numerosi e includono diverse specie di pesci (anguille, scienidi, Morone saxatilis, trote, alcuni squali, dasiatidi), stelle marine come Asterias forbesi, alcune specie di tartarughe marine (Lepidochelys olivacea) o di uccelli (Larus argentatus, Phalacrocorax auritus, Ardeidae)[100].

Patogeni e parassiti

Nell'areale nativo C. sapidus è vittima di numerosi patogeni e parassiti tra i quali virus[101][102], batteri[103], funghi[101][104], ciliati[101], amebe[105] e altri protozoi[106], dinoflagellati[107], nematodi[108], nemertini[101][109] metacercarie di trematodi[101][110] e cirripedi rizocefali[111].

Pesca

Nell'areale d'origine

Grafico del pescato mondiale di granchio blu fra il 1950 e il 2007

Una pesca tradizionale

Il granchio blu nell'areale originario rappresenta una voce molto importante della pesca, in particolare negli Stati Uniti orientali dove è uno dei principali prodotti ittici[112]; viene pescato soprattutto in due aree: la baia di Chesapeake e il golfo del Messico (prevalentemente la Louisiana)[113]. Una quota minore di pescato proviene dalla costa atlantica statunitense, soprattutto dalla Carolina del Nord[114].

Il granchio blu era un alimento importante già nel XVII secolo per i coloni inglesi e per le tribù native americane dell'area della baia di Chesapeake. Non erano considerati di pregio come poteva esserlo il pesce; nel loro areale d'origine i granchi erano quindi spesso usati come un'esca per la pesca. Hanno guadagnato popolarità a livello regionale a partire dal XVIII secolo, anche se il rapido deperimento ne limitava la distribuzione e ne ostacolava la crescita della pesca. I progressi nelle tecniche di refrigerazione di fine '800 e inizio '900 hanno consentito di soddisfare la crescente domanda di granchio blu a livello nazionale[115][116].

Nel Golfo del Messico, la pesca commerciale dei granchi blu viene menzionata per la prima volta nel 1880. I pescatori utilizzavano guadini con lunghi manici e reti a bilancia, oltre ad altri semplici attrezzi da pesca, per catturare i granchi di notte[117]. È dalla Louisiana che la pesca si è estesa a buona parte del Golfo del Messico settentrionale. Il primo impianto di lavorazione commerciale in Louisiana fu aperto a Morgan City nel 1924. Altri impianti furono presto attivati, e l'industria divenne importante per la regione già nel 1931, anche se la lavorazione commerciale dei granchi blu non si diffuse fino alla seconda guerra mondiale[118].

Declino della pesca nella baia di Chesapeake

Esemplare di granchio blu catturato con una rete da posta in Maryland

La baia di Chesapeake ha ospitato le prime attività di pesca al granchio blu ed è stata storicamente la principale area di cattura ma, a partire dagli anni 1970, ha perso progressivamente importanza. Fino al 1950, infatti, circa il 75% del pescato proveniva da questa baia ma questo valore è sceso fino al 36,5% del 1994[119]. Gli stock della baia di Chesapeake hanno mostrato frequenti crolli nel pescato che hanno destato allarme tra gli operatori della pesca. Ad esempio negli anni della prima guerra mondiale e quelli immediatamente successivi o nella seconda metà degli anni 1940 si sono registrati dei minimi di catture che però sono stati seguiti da complete riprese delle popolazioni o addirittura da record di crostacei sbarcati[120]. Le ragioni di queste fluttuazioni non sono completamente note ma è stato ipotizzato che abbiano a che fare con mutamenti delle condizioni ambientali non meglio specificate unite a mutamenti nei mercati e da riduzioni nello sforzo di pesca a causa delle due guerre mondiali[121]. Un calo nel pescato più massiccio e duraturo si è verificato a partire dagli anni 1990 quando si è passati dai 347 milioni di individui catturati nell'anno record 1993 a solo 132 milioni nel 2007[122]. Questo declino, che ha colpito pesantemente l'occupazione nel settore della pesca, sembra dovuto a diverse concause, principalmente due: la degradazione dell'ambiente a causa di fenomeni di eutrofizzazione con conseguenti crisi anossiche nei fondali, morte del benthos tra cui i granchi stessi e le relative prede[123] e frammentazione o scomparsa delle praterie di fanerogame marine rifugio dei giovanili[60] e la sovrapesca soprattutto delle femmine mature e/o ovigere[123]. Il risultato di questi fattori impattanti sulle popolazioni è una diminuzione della produzione di uova, una maggiore mortalità larvale e, di conseguenza, uno scarso reclutamento di giovani adulti e di futuri riproduttori[124]. Per ricostituire queste popolazioni così importanti per l'industria ittica statunitense sono stati presi numerosi provvedimenti tra i quali la riduzione dello sforzo di pesca[125], l'istituzione di periodi di divieto[70][126] e, con ottimi risultati, la riproduzione in cattività della specie e rilascio in natura di giovanili di granchio appena metamorfosati[127]. Nel frattempo si sono prese iniziative sul lungo periodo per migliorare la qualità dell'acqua della baia[128].

Nel 2017 gli stati USA maggiori produttori erano nell'ordine Louisiana, Maryland, Virginia e Carolina del Nord[129]. C. sapidus sembra avere una certa importanza per la pesca anche in Brasile, sebbene non quantificabile data l'assenza di statistiche ufficiali; viene effettuata una pesca mirata ed è catturato anche in abbondanza come bycatch nella pesca ai gamberetti con nasse di tipo bertavello[130].

La pesca al granchio reale si effettua oggigiorno prevalentemente tramite particolari nasse denominate crab pot[131] innescate con pesci oleosi come il menhaden[129], altri sistemi meno utilizzati sono i palamiti e le draghe, queste ultime piccole reti a strascico con imboccatura rigida[132] simili al "rapido" impiegato nel Mediterraneo.

Al fine della pesca, i granchi vengono divisi in jimmies (maschi adulti), sallies (femmine immature) e sooks (femmine adulte)[69]. Altra suddivisione commerciale è fra i granchi a guscio tenero perché freschi di muta, quelli in procinto di mutare e quelli con il carapace già indurito. I primi, sebbene rappresentino una piccola frazione del pescato totale, sono particolarmente apprezzati dai consumatori e spuntano prezzi più alti. In genere per avere granchi teneri vengono catturati individui prossimi alla muta che vengono posti in apposite vasche in attesa della perdita del carapace, quando questa avviene vengono immediatamente separati dagli altri perché i granchi a guscio tenero sono facilmente vittime di cannibalismo[129].

Nel Mediterraneo

Crab pots, particolari nasse impiegate per la pesca del granchio blu

L'aumento rapidissimo delle popolazioni di C. sapidus nel Mediterraneo occidentale negli anni 2020, il rischio di gravi danni ambientali ed economici e il valore commerciale che questa specie ha nelle acque americane hanno indicato fin da subito che la valorizzazione di questa specie sui mercati sud europei e mediterranei, oltre a un'occasione di profitto per gli operatori del settore ittico e di creazione di posti di lavoro, può essere un'efficace strategia di contenimento di questa specie aliena invasiva[133][134]. Nel bacino orientale del Mediterraneo la presenza di popolazioni abbondanti di questa specie risale a diversi decenni prima e lo sfruttamento commerciale del granchio blu risale almeno agli anni 1950 nel golfo di Salonicco nel quale, addirittura, le popolazioni subirono un grave crollo negli anni 1960 a causa di vari fattori, tra i quali la sovrapesca. In seguito a questo evento la pesca commerciale a questa specie subì una forte riduzione[135][136]. Nel 2007 la specie è ricomparsa nel mar Egeo settentrionale, alla foce del fiume Evros dove l'attività di pesca è ripresa[135] e si è assistito a un nuovo aumento del pescato nel golfo di Salonicco[29][137]. La pesca commerciale ha avuto una certa rilevanza locale in Egitto, specie nelle acque del delta del Nilo, specie negli anni 1960. Le popolazioni sono crollate drammaticamente nei primi anni 1970, presumibilmente in seguito a squilibri idrologici seguiti alla costruzione della Diga di Assuan; sembrano essersi in seguito riprese almeno in parte[138] perlopiù nelle lagune costiere[139]. Altro paese nel quale si è sviluppata una pesca professionale mirata a questa specie è la Turchia dove il granchio blu viene catturato commercialmente in almeno 15 lagune; anche in Turchia si è assistito a un brusco calo del pescato a partire dal 2003 ma in seguito c'è stata una ripresa e la specie viene regolarmente catturata e venduta[140].

Come già detto; le parti occidentale e settentrionale del Mediterraneo hanno iniziato a sostenere popolazioni stabili di C. sapidus molti anni dopo rispetto alla parte orientale e quindi lo sfruttamento commerciale della specie vi è molto meno organizzato ed economicamente significativo anche se riceve grande attenzione da parte degli operatori della pesca[141][142]. Sebbene molte marinerie si stiano attrezzando per lo sfruttamento di questa nuova risorsa[141], al 2024 la letteratura scientifica riporta solo pochi esempi di pesca commerciale nel bacino dell'ovest Mediterraneo tra i quali alcune realtà tunisine[143], le coste croate dove sono state sviluppate attrezzature apposite per la cattura del granchio blu[144], le isole ioniche della Grecia dove la specie è arrivata negli anni 2000[28] e i laghi costieri del Gargano[145], dove esiste una pesca specifica per i granchi a guscio molle[146]. Sempre al 2024 risulta una notevole discrepanza fra l'alta domanda da parte dei consumatori e una bassa offerta sui mercati di questa specie in Italia[147].

Acquacoltura

Acquari sperimentali per lo studio di Callinectes sapidus

Al contrario della pesca il settore dell'acquacoltura non è molto sviluppato per quanto riguarda la specie in oggetto: la scheda della FAO riporta solo poche centinaia di tonnellate di granchio blu allevato e solo per pochi anni fra la fine degli anni 1990 del XX secolo e i primi anni del successivo millennio[148]. Di fatto la maggior parte dell'acquacoltura dedicata a questa specie è costituita dalla produzione di giovanili neometamorfosati destinati alla ricostituzione degli stock selvatici impoveriti dalla sovrapesca e dal degrado ambientale[127], allevamento che viene effettuato con successo anche in grandi quantitativi[149]. Dal 2019 è attivo in Mississippi un progetto di ricerca al fine di sviluppare un sistema di allevamento che comprenda tutti gli stadi vitali della specie, dalla raccolta delle uova da femmine selvatiche all'adulto di taglia commerciale[150]. Esperimenti tesi alla creazione di un'acquacoltura da produzione commerciale nelle acque lagunari del mar Nero sono in corso in Romania a partire dal 2021, con risultati incoraggianti[151].

Alimentazione umana

Caratteristiche nutrizionali

Esemplari cotti dalla tipica colorazione rossa

La carne del granchio blu, ricca di vitamina B12[152], ha un contenuto di proteine variabile tra il 13,82% e il 20,24% e una percentuale di grassi che va dal 3,85% al 6,21%. I nutrienti presenti nella carne mostrano una notevole variabilità individuale e geografica. La carne delle chele è più proteica ed ha un minor contenuto di grassi rispetto a quella all'interno del carapace[153]. Il contenuto di acidi grassi saturi è risultato essere compreso fra il 28,48% e il 30,09% del totale[154].

Cucina

Negli Stati Uniti orientali, il granchio blu è considerato un alimento prelibato[155]. È notoriamente il piatto tipico di Charleston, servito in insalata, sui crostini o accompagnato da intingoli a base di formaggio fresco o al cheddar[156]. Il granchio blu à anche parte della tradizionale cucina afro-americana degli stati del sud. Nel Maryland si cucina la zuppa di granchio in modo simile alla più famosa zuppa di granchio di Charleston, in inverno, usando le femmine cariche di uova ed aggiungendo odori e sapori tipici della tradizionale cucina afro-americana, come le foglie di pepe rosso[157]. Il famoso chef afro-americano di inizio XX secolo, William Deas, prendeva in prestito alle cucine delle famiglie di origine francese le cipolle, la panna, la farina per inspessire la zuppa, oltre che alla salsa Worcestershire e lo sherry[158]. Ma il C. sapidus cucinato in zuppa si trova lungo tutta la costa atlantica, fino a Baltimora[157].

Spaghetti con polpa di granchio blu

Questi animali vengono bolliti in acqua con altri ingredienti e varie misture di erbe aromatiche nella preparazione del Country Boil: un bollito di granchio blu diffuso negli stati del sud (Louisiana, Maryland, Florida, Nuovo Messico)[159]. Per poterli cuocere a piacimento, essi vengono gettati in scolapasta ed estratti una volta raggiunto il colore rosso, tipico dei crostacei bolliti. Per estrarre la polpa del granchio, è necessario "scoperchiarlo" e in seguito romperne le varie articolazioni, ricavando un quantitativo di carne modesto rispetto alle dimensioni totali dell'animale. Le branchie, solitamente rimosse, chiamate tomalley o mostarda (a causa del colore), vengono considerate da alcuni una prelibatezza[160].

La carne del granchio blu viene utilizzata, oltre che come cibo istantaneo, anche come prezioso ingrediente del crab cake[161] e di altre ricette locali. La carne inoltre può essere trattata per la conservazione in appositi stabilimenti ed essere venduta inscatolata.

I granchi catturati appena dopo la muta, e perciò muniti di guscio ancora molle, vengono privati delle interiora e delle branchie e fritti dopo essere stati immersi in una pastella di uova, farina ed erbe aromatiche.

Conservazione

C. sapidus non è inserito nella Lista rossa IUCN. La specie non sembra essere particolarmente vulnerabile e, in assenza di uno sforzo di pesca eccessivo, le popolazioni naturali sono in grado di riprendersi in modo rapido. Gli stock sembrano aver aumentato la loro consistenza soprattutto in seguito a misure di tutela[162].

L'habitat palustre della Louisiana, cruciale per la sopravvivenza di numerose specie marine, tra cui il granchio blu, è sottoposto a crescenti pressioni. Per contrastare questo trend, sono in corso interventi di tutela e ripristino. Nonostante le misure adottate per prevenire la pesca illegale di esemplari al disotto delle dimensioni ammesse, la raccolta di femmine immature di granchio blu, pur essendo conforme alla normativa vigente, rappresenta una minaccia per la riproduzione della specie. Questa pratica, infatti, impedisce a un numero significativo di individui di raggiungere la maturità sessuale e contribuire al rinnovamento delle popolazioni[163].

Le nasse abbandonate in mare rappresentano una minaccia per l'ecosistema marino. Queste trappole, una volta perse, continuano a catturare inavvertitamente diverse specie marine, compresi i granchi blu. Inoltre, possono creare ostacoli per la navigazione e interagire negativamente con altri attrezzi da pesca, alterando l'equilibrio degli habitat marini[164].

Esemplare di granchio blu dotato di dispositivo per la geolocalizzazione per scopi di ricerca scientifica

Effetti come specie invasiva

Il granchio reale blu è una specie aliena e invasiva nel Mediterraneo[165] in grado di causare ingenti danni agli ecosistemi lagunari e costieri, alla pesca e alla coltivazione dei molluschi[77][166], tanto da essere stata inserita tra le 100 specie aliene più pericolose per il Mediterraneo[167]. Può entrare in competizione negli areali di specie autoctone, danneggiandone la popolazione[168]. Può inoltre rovinare alcuni tipi di reti da pesca con le proprie chele ed introdursi negli impianti di acquacoltura danneggiando pesantemente soprattutto quelli per l'allevamento di molluschi bivalvi, animali per i quali C. sapidus mostra di avere un metodo di predazione altamente efficiente[169]. In alcuni casi la diffusione del granchio blu ha causato la netta decrescita del pescato di pesci ossei di alto valore commerciale[170]. Un caso di studio è quello del fiume Ebro, nel quale l'insediamento prima e la rapidissima espansione poi della specie in oggetto hanno portato in pochi anni a farle assumere un ruolo dominante a livello ecosistemico e a drastiche riduzioni delle popolazioni delle altre specie tra le quali molte che precedentemente avevano un importante ruolo economico[171]. Particolarmente grave appare la situazione del nord Adriatico dove a popolazioni molto numerose di granchio blu si associano allevamenti e zone di pesca di bivalvi di alto valore economico[172]. La situazione nell'Adriatico settentrionale e i suoi riflessi su pesca e ambiente hanno avuto una notevole copertura mediatica a partire dall'estate 2023 portando anche il pubblico non specialista a conoscenza della gravità dell'invasione[173][174].

Note

  1. ^ a b Treccani.
  2. ^ Denominazione obbligatoria in Italia per tutti i membri del genere Callinectes in base al Decreto Ministeriale 2563 del 31 gennaio 2008 ai sensi del DM 31 gennaio 2008
  3. ^ DecaNet (eds), Callinectes sapidus, (WoRMS 2024)
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s CIESM Atlas of Exotic Crustaceans in the Mediterranean Sea.
  5. ^ a b c Millikin, 1984, p. 6.
  6. ^ Johnson, p.105.
  7. ^ a b Nehring, 2011, p. 607.
  8. ^ a b Johnson, 2015, p.107.
  9. ^ a b Stagg e Whilden, 1997, p. 94.
  10. ^ Williams, 1971, p. 781.
  11. ^ a b Castriota et al., 2024, p. 7.
  12. ^ Czerniejewski et al., 2020.
  13. ^ Snigirev et al., 2020.
  14. ^ a b Castriota et al., 2024, p. 1.
  15. ^ Nehring, 2011, p. 617.
  16. ^ Schubart et al., 2022, pp. 12-14.
  17. ^ a b Veyssiere et al., 2022, p. 18.
  18. ^ Castriota et al., 2024, p. 8.
  19. ^ a b c Veyssiere et al., 2022, p. 17.
  20. ^ Castriota et al., 2024, p. 6.
  21. ^ a b c Castriota et al., 2024, p. 11.
  22. ^ Oussellam et al., 2023, p. 403.
  23. ^ Dulčić et al., 2011, pp. 1216-1217.
  24. ^ Clavero et al., 2022, pp. 3-5.
  25. ^ Marchessaux et al,, 2022, pp. 7-11.
  26. ^ Cavraro et al., 2022, p. 12.
  27. ^ (FR) C. Serbetis, Un nouveau crustacé commestible en mer Egeé Callinectes sapidus Rath. (Decapod brach.), in Proc. Gen. Fish. Counc. Medit., vol. 5, 1959, pp. 505-507.
  28. ^ a b (EN) Costas Perdikaris, Evangelos Konstantinidis, Evangelia Gouva, Anna Ergolavou, Dimitris Klaoudatos, Cosmas Nathanailides e Ioannis Paschos, Occurrence of the Invasive Crab Species Callinectes sapidus Rathbun,1896, in NW Greece, in Agriculture Technology and Biological Sciences, giugno 2016, DOI:10.14456/vol13iss4pp.
  29. ^ a b (EN) K. Kevrekidis, C. Antoniadou, K. Avramoglou, J. Efstathiadis e C. Chintiroglou, Population structure of the blue crab Callinectes sapidus in Thermaikos Gulf (Methoni Bay), 15th Pan-Hellenic Congress of Ichthyologists, Salonicco, 2013, pp. 113-6.
  30. ^ (EN) H. Atar, M. Ölmez, S. Bekcan e S Seçer, Comparison of three different traps for catching blue crab(Callinectes sapidus Rathbun 1896) in Beymelek Lagoon, in Turkish Journal of Veterinary & Animal Sciences, vol. 26, 2009, pp. 1145-1150.
  31. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 20.
  32. ^ Labrune et al., 2019, pp. 878-879.
  33. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 21.
  34. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 31.
  35. ^ Croizer, 2022.
  36. ^ a b Mizzan, 1999, p.158.
  37. ^ Manfrin et al., 2006, p. 1.
  38. ^ Cilenti et al., 2015, p. 281.
  39. ^ Castriota et al., 2012, p. 467.
  40. ^ Mancinelli et al., 2013, p. 46.
  41. ^ Manfrin et al., 2015, p. 1.
  42. ^ Carrozzo et al., 2014, p. 1.
  43. ^ Suaria et al., 2017, p. 147.
  44. ^ Piras et al., 2019, p. 134.
  45. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 22.
  46. ^ Giacobbe et al., 2019, p.365.
  47. ^ Pipitone et al., 2020, p. 101.
  48. ^ Tiralongo et al., 2021, p.99.
  49. ^ Battisti et al., 2023, p.63.
  50. ^ Cerri et al., 2019, p. 4.
  51. ^ Tiralongo et al., 2021, p.102.
  52. ^ Vecchioni et al., 2022, p. 43.
  53. ^ a b Scalici et al., 2021, p. 3.
  54. ^ Campus de Gandia Ciencia.
  55. ^ Gonzalez-Wanguemert e Pujol, 2016, p. 616.
  56. ^ Png-Gonzalez et al., 2021, pp. 2-4.
  57. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 33.
  58. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 35.
  59. ^ a b c d Nehring, 2011, p. 608.
  60. ^ a b Mizerek et al., 2011, pp. 252-256.
  61. ^ a b Millikin, 1984, p.7.
  62. ^ a b c d e Millikin, 1984, p.8.
  63. ^ Millikin, 1984, p.24.
  64. ^ Marchessaux et al,, 2022, p. 4.
  65. ^ a b c Williams, 1971, p. 782.
  66. ^ a b c d e f g Falciai e Minervini, 1992, pp. 202-204.
  67. ^ a b c d e f g h Millikin, 1984, p. 3.
  68. ^ Falciai e Minervini, 1992, p. 199.
  69. ^ a b van Engel, 1958, p. 7.
  70. ^ a b c NOAA Fisheries.
  71. ^ a b c d e f g Millikin, 1984, p. 21.
  72. ^ a b c d e f Laughlin, 1982, p. 818.
  73. ^ Hughes e Seed, 1981, p.83.
  74. ^ Hughes e Seed, 1981, pp.86-87.
  75. ^ Belgrad e Griffen, 2016, pp.5-8.
  76. ^ Peery, 1989, p.9.
  77. ^ a b Kampouris et al., 2019, p. 29.
  78. ^ Ortega‑Jiménez et al., 2024, p.5.
  79. ^ Rady et al., 2018, pp. 407-410.
  80. ^ a b c d van Engel, 1958, pp. 7-8.
  81. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 6.
  82. ^ Epifanio. 2019, p.1.
  83. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 7.
  84. ^ a b Epifanio. 2019, p.4.
  85. ^ Millikin, 1984, p.9.
  86. ^ Epifanio. 2019, p.6.
  87. ^ a b van Engel, 1958, p. 9.
  88. ^ a b Millikin, 1984, p.10.
  89. ^ Epifanio. 2019, p.8.
  90. ^ Costlow, 1959, p.393.
  91. ^ Epifanio. 2019, p.9.
  92. ^ Epifanio. 2019, pp.8-11.
  93. ^ Veyssiere et al., 2022, pp. 7-10.
  94. ^ van Engel, 1958, pp. 10-11.
  95. ^ Costlow, 1959, p.390.
  96. ^ Forward Jr. et al., 2004, pp. 241-246.
  97. ^ Epifanio. 2019, p.7.
  98. ^ Anger, 2001, p.311.
  99. ^ Anger, 2001, p.312.
  100. ^ Noël, 2017, p.6.
  101. ^ a b c d e Messick, 1998, p.133.
  102. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.224.
  103. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.239.
  104. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.251.
  105. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.271.
  106. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.255.
  107. ^ Shields e Overstreet, 2003, pp.263-265.
  108. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.286.
  109. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.288.
  110. ^ Shields e Overstreet, 2003, p.280.
  111. ^ Shields e Overstreet, 2003, pp.294-295.
  112. ^ Marchessaux et al, 2024, p. 2.
  113. ^ Stagg e Whilden, 1997, pp. 94-95.
  114. ^ Millikin, 1984, p.28.
  115. ^ Maryland Sea Grant College, 2007, pp. 655–698.
  116. ^ van Engel, 1962, pp.1-2.
  117. ^ Perry, 1984.
  118. ^ Comeaux, 1969.
  119. ^ Stagg e Whilden, 1997, p. 95.
  120. ^ Stagg e Whilden, 1997, pp. 95-97.
  121. ^ Stagg e Whilden, 1997, p. 97.
  122. ^ Chesapeake Bay Foundation Reports, 2008, p. 2.
  123. ^ a b Chesapeake Bay Foundation Reports, 2008, pp. 5-11.
  124. ^ Lipcius e Stockhausen, 2002, p. 45.
  125. ^ Chesapeake Bay Foundation Reports, 2008, p. 13.
  126. ^ SeafoodWatch.
  127. ^ a b Zohar et al., 2008, p.24.
  128. ^ Chesapeake Bay Foundation Reports, 2008, pp. 15-16.
  129. ^ a b c Louisiana Blue Crab - Fishery Management Plan.
  130. ^ Mendes Ruas et al., 2018, pp. 1-4.
  131. ^ Sturdivant e Clark, 2011, p.48-49.
  132. ^ Millikin, 1984, p.26.
  133. ^ Mancinelli et al., 2017b, p. 1.
  134. ^ Food and Agriculture Organization - Research programme on blue crabs.
  135. ^ a b Kevrekidis e Antoniadou, 2018, p. 642.
  136. ^ Kevrekidis et al., 2023, p. 2.
  137. ^ Kevrekidis e Antoniadou, 2018, p. 643.
  138. ^ Nehring, 2011, p. 613.
  139. ^ Mehanna et al., 2019, pp. 606-607.
  140. ^ Nehring, 2011, pp. 615-616.
  141. ^ a b Marchessaux et al., 2023, p. 1.
  142. ^ Marchessaux et al, 2024, p.1.
  143. ^ Khamassi et al., 2022, pp. 652-653.
  144. ^ Glamuzina et al., 2021, pp. 7-12.
  145. ^ Cannarozzi et al., 2023, pp. 4-6.
  146. ^ Cilenti et al., 2024, p 1.
  147. ^ Azzurro et al., 2024, pp. 3-6.
  148. ^ Food and Agriculture Organization - Species Fact Sheets - Callinectes sapidus (Rathbun, 1896).
  149. ^ Zmora et al., 2005, p.129.
  150. ^ Aquaculture North America 25 giugno 2019.
  151. ^ Niţă e Nenciu, 2021, pp. 563-567.
  152. ^ Firenze Post-9 agosto 2023.
  153. ^ Di Salvo et al., 2024, p.8.
  154. ^ Di Salvo et al., 2024, p.13.
  155. ^ Gambero Rosso - 9 agosto 2023.
  156. ^ Lee e Lee, 2013, p. 58.
  157. ^ a b Behr, 2011, p.52.
  158. ^ Deas, 1930.
  159. ^ Calhoun Jr., 2015.
  160. ^ Come cucinare il granchio blu (Callinectes sapidus) - Il giornale dei marinai.
  161. ^ GialloZafferano: Crab Cake.
  162. ^ SeafoodWatch, p.11.
  163. ^ Cagle e Isaacs, p. 40.
  164. ^ Cagle e Isaacs, p. 41.
  165. ^ Nehring, 2011, pp. 612-616.
  166. ^ Mancinelli et al., 2017a, p. 4.
  167. ^ Streftaris e Zenetos, 2006, p.92.
  168. ^ Veyssiere et al., 2022, p. 32.
  169. ^ Prado et al., 2020, pp. 11-12.
  170. ^ Mehanna et al., 2019, p. 601-603.
  171. ^ Clavero et al., 2022, pp. 4-5.
  172. ^ (EN) What scientists know about the blue crab invasion, su Nature Italy, 1º settembre 2023. URL consultato il 7 agosto 2024.
  173. ^ Corriere della Sera - 25 agosto 2023.
  174. ^ La Repubblica - 30 giugno 2024.

Bibliografia

Biologia generale

  • Falciai L. Minervini R., Guida dei Crostacei Decapodi d'Europa, Padova, Franco Muzzio Editore, 1992, ISBN 88-7021-557-1.
  • (EN) The Blue crab: Callinectes sapidus, Maryland Sea Grant College, University of Maryland, 2007, pp. 655–698, ISBN 978-0-943676-67-8, OCLC ocm76820953. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Millikin, Mark R., Synopsis of biological data on the blue crab, Callinectes sapidus Rathbun, vol. 138, National Oceanic and Atmospheric Administration, National Marine Fisheries Service, 1984. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Nehring S., Invasion history and success of the American blue crab Callinectes sapidus in European and adjacent waters, in AA VV, In the wrong place-alien marine crustaceans: distribution, biology and impacts, a cura di Galil B. S. et al., collana Invading Nature - Springer Series in Invasion Ecology, vol. 6, Dordrecht, Springer Netherlands, 2011, p. 617, DOI:10.1007/978-94-007-0591-3_21. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (FR) P. Noël, Le Crabe bleu américain Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) (PDF), collana Inventaire national du Patrimoine naturel, Parigi, Muséum national d'Histoire naturelle, 2017.
  • (EN) Streftaris N. e Zenetos A., Alien Marine Species in the Mediterranean - the 100 ‘Worst Invasives’ and their Impact, in Mediterranean Marine Science, vol. 7, n. 1, 2006, pp. 87-118, DOI:10.12681/mms.180. URL consultato il 27 luglio 2024.
  • (EN) Williams A. B., The swimming crabs of the genus Callinectes (Decapoda: Portunidae), in Fisheries Bulletin, vol. 72, n. 3-4, 1971, pp. 685-798. URL consultato il 2 luglio 2024.

Biologia speciale

  • (EN) Klaus Anger, The biology of decapod crustacean larvae (PDF), Lisse, 2001.
  • (EN) Belgrad B. e Griffen B., The Influence of Diet Composition on Fitness of the Blue Crab, Callinectes sapidus, in PLoS ONE, vol. 11, n. 1, 2016, pp. 1-15, DOI:10.1371/journal.pone.0145481. URL consultato il 1º luglio 2024.
  • (EN) Carrozzo L., Potenza L., Carlino P., Costantini M.L., Rossi L. e Mancinelli G., Seasonal abundance and trophic position of the Atlantic blue crab Callinectes sapidus Rathbun 1896 in a Mediterranean coastal habitat, in Rendiconti Lincei, vol. 25, 2014, pp. 201-208, DOI:10.1007/s12210-014-0297-x. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) John D. Costlow e C. G. Bookhout, The larval developement of Callinectes sapidus Rathbun reared in the laboratory, in The Biological Bulletin, vol. 116, n. 3, 1959-06, pp. 373–396, DOI:10.2307/1538947. URL consultato il 2 luglio 2024.
  • (EN) Charles E. Epifanio, Early Life History of the Blue Crab Callinectes sapidus: A Review, in Journal of Shellfish Research, vol. 38, n. 1, 17 aprile 2019, pp. 1-22, DOI:10.2983/035.038.0101. URL consultato il 23 agosto 2023.
  • (EN) Forward Jr. R.B., Cohen J.H., Irvine R.D., Lax J.L., Mitchell R., Schick A.M., Smith M.M., Thompson J.M. e Venezia J.I, Settlement of blue crab Callinectes sapidus megalopae in a North Carolina estuary, in Marine Ecology Progress Series, vol. 269, 2004, pp. 237-247, DOI:10.3354/meps269237. URL consultato il 24 luglio 2024.
  • (EN) Hughes R. N. e Seed R., Size Selection of Mussels by the Blue Crab Callinectes sapidus: Energy Maximizer or Time Minimizer?, in Marine Ecology - Progress Series, 1981, pp. 83-89, DOI:10.3354/meps006083. URL consultato il 1º luglio 2024.
  • (EN) Kampouris T., Porter J. e Sanderson W., Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Brachyura: Portunidae): An assessment on its diet and foraging behaviour, Thermaikos Gulf, NW Aegean Sea, Greece: Evidence for ecological and economic impacts, in Crustacean Research, vol. 48, 2019, pp. 23-37, DOI:10.18353/crustacea.48.0_23. URL consultato il 2 luglio 2024.
  • (EN) Kevrekidis K. e Antoniadou C., Abundance and population structure of the blue crab Callinectes sapidus (Decapoda, Portunidae) in Thermaikos Gulf (Methoni Bay), northern Aegean Sea, in Crustaceana, vol. 91, n. 6, 2018, pp. 641-657, DOI:10.1163/15685403-00003795. URL consultato il 16 luglio 2024.
  • (EN) Laughlin R., Feeding habits of the blue crab, Callinectes sapidus Rathbun, in the Apalachicola estuary, Florida, in Bulletin of Marine Science, vol. 32, n. 4, 1982, pp. 807-822. URL consultato il 2 luglio 1982.
  • (EN) Lipcius R.N e Stockhausen W.T., Concurrent decline of the spawning stock, recruitment, larval abundance, and size of the blue crab Callinectes sapidus in Chesapeake Bay, in Marine Ecology Progress Series, vol. 226, 2002, pp. 45-61, DOI:10.3354/meps226045. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Marchessaux G., Bosch-Belmar M., Cilenti L., Lago N., Mangano M. C., Marsiglia N. e Sarà G., The invasive blue crab Callinectes sapidus thermal response: Predicting metabolic suitability maps under future warming Mediterranean scenarios, in Frontiers in marine science, vol. 9, 2022, pp. 1-13, DOI:10.3389/fmars.2022.1055404. URL consultato il 30 giugno 2024.
  • (EN) Messick G.A., Diseases, Parasites, and Symbionts of Blue Crabs ( Callinectes sapidus ) Dredged From Chesapeake Bay, in Journal of Crustacean biology, vol. 18, n. 3, 1998, pp. 533-548. URL consultato il 5 luglio 2024.
  • (EN) Mizerek T., Regan H.M. e Hovel K.A., Seagrass habitat loss and fragmentation influence management strategies for a blue crab Callinectes sapidus fishery, in Marine Ecology Progress Series, vol. 427, 2011, pp. 247-257, DOI:10.3354/meps09021. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Elena Ortega‑Jiménez, Jose A. Cuesta, Irene Laiz e Enrique González‑Ortegón, Diet of the Invasive Atlantic Blue Crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Decapoda, Portunidae) in the Guadalquivir Estuary (Spain), in Estuaries and Coasts, vol. 47, n. 10, 2024, pp. 1-11, DOI:10.1007/s12237-024-01344-9. URL consultato il 4 luglio 2024.
  • (EN) Peery C., Cannibalism Experiments with the Blue Crab (Callinectes sapidus Rathbun): Potential Effects of Size and Abundance, in Dissertations, Theses, and Masters Projects - William & Mary. Paper, vol. 1539617603, 1989, pp. 1-29, DOI:10.25773/v5-etbg-bx65. URL consultato il 1º luglio 2024.
  • (EN) Prado P., Peñas A., Ibáñez C., Cabanes Vizcarro P., Jornet L., Alvarez N. e Caiola N., Prey size and species preferences in the invasive blue crab, Callinectes sapidus: Potential effects in marine and freshwater ecosystems, in Estuarine Coastal and Shelf Science, n. 245, 2020, pp. 1-14, DOI:10.1016/j.ecss.2020.106997. URL consultato il 22 luglio 2024.
  • (EN) Rady A., Sallam W.S., Abdou N.E.I. e El-Sayed A.A.M., Food and feeding habits of the blue crab, Callinectes sapidus (Crustacea: Decapoda: Portunidae) with special reference to the gastric mill structure, in Egyptian Journal of Aquatic Biology & Fisheries, vol. 22, n. 5, 2018, pp. 403-417, DOI:10.21608/ejabf.2018.23925. URL consultato il 12 luglio 2024.
  • (EN) Shields J. e Overstreet R., The Blue Crab: Diseases, Parasites and Other Symbionts, in Faculty Publications from the Harold W. Manter Laboratory of Parasitology, vol. 426, 2003. URL consultato il 5 luglio 2024.
  • (EN) Schubart C.D., Deli T., Mancinelli G., Cilenti L., Gil Fernández A., Falco S. e Berger S., Phylogeography of the Atlantic Blue Crab Callinectes sapidus (Brachyura: Portunidae) in the Americas versus the Mediterranean Sea: Determining Origins and Genetic Connectivity of a Large-Scale Invasion, in Biology, vol. 12, n. 1, 2022, pp. 1-18, DOI:10.3390/biology12010035. URL consultato il 18 luglio 2024.

Diffusione

  • (EN) Battisti C., Chiesa S, Gallitelli L. e Scalici M., Further evidence of the occurrence of the Atlantic blue crab Callinectes sapidus (Rathbun 1896) (Crustacea: Decapoda: Portunidae) along the central Tyrrhenian coast, in Natural History Sciences. Atti Società italiana di Scienze naturali Museo civico Storia naturale Milano, vol. 10, n. 2, 2023, pp. 63-68, DOI:10.4081/nhs.2023.655. URL consultato il 29 giugno 2024.
  • (EN) Castriota L., Andaloro F., Costantini R. e De Ascentiis A., First record of the Atlantic crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Crustacea: Brachyura: Portunidae) in Abruzzi waters, central Adriatic Sea, in Acta Adriatica, vol. 3, 2012, pp. 467 - 471. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Castriota Luca, Falautano Manuela e Perzia Patrizia, When Nature Requires a Resource to Be Used—The Case of Callinectes sapidus: Distribution, Aggregation Patterns, and Spatial Structure in Northwest Europe, the Mediterranean Sea, and Adjacent Waters, in Biology, vol. 13, n. 279, 2024, pp. 1-26, DOI:10.3390/biology13040279. URL consultato il 21 giugno 2024.
  • (EN) Cilenti L., Pazienza G., Scirocco T., Fabbrocini A. e D'adamo R., First record of ovigerous Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) in the Gargano Lagoons (south-west Adriatic Sea) (PDF), in BioInvasions Records, vol. 4, n. 4, 2015, pp. BioInvasions Records, DOI:10.3391/bir.2015.4.4.09. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Clavero M., Nati F., Bernardo-Madrid R., López V., Abelló P., Queral J.M. e Mancinelli G., Severe, rapid and widespread impacts of an Atlantic blue crab invasion, in Marine Pollution Bulletin, vol. 176, 2022, pp. 1-9, DOI:10.1016/j.marpolbul.2022.113479. URL consultato il 19 luglio 2024.
  • (EN) Czerniejewski P., Kasowska N., Linowska A. e Rybczyk A., A new record of the invasive blue crab (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) and his parasite from the Baltic basin, in Oceanologia, vol. 62, n. 1, 2020, pp. 111-115, DOI:10.1016/j.oceano.2019.06.004. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Dulčić J., Tutman P., Matic-Skoko S. e Glamuzina B., Six Years from First Record to Population Establishment: The Case of the Blue Crab, Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Brachyura, Portunidae) in the Neretva River Delta (South-Eastern Adriatic Sea, Croatia), in Crustaceana, vol. 84, n. 10, 2011, pp. 1211-1220, DOI:10.1163/156854011X587478. URL consultato il 7 luglio 2024.
  • (EN) Giacobbe S., Lo Piccolo M. e Scaduto G., Forty-seven years later: the blue crab Callinectes sapidus Rathbun,1896 (Crustacea Decapoda Portunidae) reappears in the Strait of Messina (Sicily,Italy) (PDF), in Biodiversity Journal, vol. 10, n. 4, 2019, pp. 365-368, DOI:10.31396/Biodiv.Jour.2019.10.4.365.368. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Mercedes Gonzalez-Wanguemert e Juan Pujol, First record of the Atlantic blue crab Callinectes sapidus (Crustacea: Brachyura: Portunidae) in the Segura River mouth (Spain, southwestern Mediterranean Sea), in Turkish Journal of Zoology, vol. 40, n. 4, 1º gennaio 2016, pp. 615–619, DOI:10.3906/zoo-1511-23. URL consultato il 27 giugno 2024.
  • (EN) Johnson D. S., The Savory Swimmer Swims North: A Northern Range Extension of the Blue Crab Callinectes Sapidus?, in Journal of Crustacean Biology, vol. 35, n. 1, 2015, pp. 105-110, DOI:10.1163/1937240X-00002293. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Céline Labrune, Elsa Amilhat, Jean-Michel Amouroux, Coraline Jabouin, Alexandra Gigou e Pierre Noël, The arrival of the American blue crab, Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Decapoda: Brachyura: Portunidae), in the Gulf of Lions (Mediterranean Sea) (abstract), 2019, pp. 876-881. URL consultato il 25 giugno 2024.
  • (EN) Mancinelli G., Carrozzo L., Costantini M. L., Rossi L., Marini G, e Pinna M., Occurrence of the Atlantic blue crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 in two Mediterranean coastal habitats: Temporary visitor or permanent resident?, in Estuarine, Coastal and Shelf Science, n. 135, 2013, pp. 46-56, DOI:10.1016/j.ecss.2013.06.008. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Mancinelli G., Chainho P., Cilenti L., Falco S., Kapiris K., Katselis G. e Ribeiro F., The Atlantic blue crab Callinectes sapidus in southern European coastal waters: distribution, impact and prospective invasion management strategies., in Marine Pollution Bulletin, vol. 119, n. 1, 2017, pp. 5-11, DOI:10.1016/j.marpolbul.2017.02.050.
  • (EN) Mancinelli G., Chainho P., Cilenti L., Falco S., Kapiris K., Katselis G. e Ribeiro F., On the Atlantic blue crab (Callinectes sapidus Rathbun 1896) in southern European coastal waters: Time to turn a threat into a resource?, in Fisheries Research, vol. 194, 2017, pp. 1-8, DOI:10.1016/j.fishres.2017.05.002. URL consultato il 16 luglio 2024.
  • (EN) Manfrin C., Comisso G., Dall'Asta A., Bettoso N. e Sook Chung J., The return of the Blue Crab, Callinectes sapidus Rathbun, 1896, after 70 years from its first appearance in the Gulf of Trieste, northern Adriatic Sea, Italy (Decapoda: Portunidae), in Check List, vol. 12, n. 6, 2006, pp. 1-7, DOI:10.15560/12.6.2006. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Manfrin C., Turolla E., Sook Chung J. e Giulianini P.G., First occurrence of Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) within the Sacca di Goro (Italy) and surroundings, in Check List, vol. 11, n. 3, 2015, pp. 1640, DOI:10.15560/11.3.1640. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • Luca Mizzan, Le specie alloctone del macrozoobenthos della Laguna di Venezia: il punto della situazione. (PDF), in Bollettino del Museo civico di Storia naturale di Venezia, vol. 49, 1999, pp. 145-177.
  • (EN) Oussellam M., Benhoussa A., Pariselle A., Rahmoune I., Salmi M., Agnèse J.F., Selfati M., El Ouamari N. e Bazairi H., First and southern-most records of the American blue crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Decapoda, Portunidae) on the African Atlantic coast (PDF), in BioInvasions Records, vol. 12, n. 2, 2023, pp. 403-416, DOI:10.3391/bir.2023.12.2.05. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Pipitone C., Zenone A., Badalamenti F. e D'Anna G., First record of the blue crab Callinectes sapidus (Crustacea, Decapoda, Portunidae), a non-indigenous species in the central/southern Tyrrhenian Sea, in Acta Adriatica, vol. 61, n. 1, 2020, pp. 101-106, DOI:10.32582/aa.61.1.8. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Piras P., Esposito G. e Meloni D., On the occurrence of the blue crab Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) in Sardinian coastal habitats (Italy): a present threat or a future resource for the regional fishery sector? (PDF), in BioInvasions Records, vol. 8, n. 1, 2019, pp. 134–141, DOI:10.3391/bir.2019.8.1.15. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Png-Gonzalez L., Papiol V., Balbín R., Cartes J.E. e Carbonell A., Larvae of the blue crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Decapoda: Brachyura: Portunidae) in the Balearic Archipelago (NW Mediterranean Sea), in Marine Biodiversity Records,, vol. 14, n. 1, 2021, pp. 1-5, DOI:10.1186/s41200-021-00217-5.
  • (EN) Scalici M., Chiesa S., Mancinelli G., Rontani P. M., Voccia A. e Nonnis Marzano F., Euryhaline Aliens Invading Italian Inland Waters: The Case of the Atlantic Blue Crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896, in Applied Sciencies, vol. 12, n. 9, 2022, pp. 1-9, DOI:10.3390/app12094666. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Snigirev S. M., Bushuev S. G., Kudriashov S. S. e Syliantyev S. A., First records of blue crab Callinectes sapidus (Rathbun 1869) on the northwestern Black Sea shelf, in Marine Ecological Journal, vol. 1, 2020, pp. 67-69, DOI:10.47143/1684-1557/2020.1.09. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Suaria G., Pierucci A., Zanello P., Fanelli E., Chiesa S. e Azzurro E., Percnon gibbesi (H. Milne Edwards, 1853) and Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) in the Ligurian Sea: two additional invasive species detections made in collaboration with local fishermen (PDF), in BioInvasions Records, vol. 6, n. 2, 2017, pp. 147-151, DOI:10.3391/bir.2017.6.2.10. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (EN) Tiralongo F., Villani G., Arciprete R. e Mancini E., Filling the gap on Italian records of an invasive species: first records of the Blue Crab, Callinectes sapidus Rathbun, 1896 (Decapoda: Brachyura: Portunidae), in Latium and Campania (Tyrrhenian Sea), in Acta Adriatica, vol. 61, n. 2, 2021, pp. 99-104, DOI:10.32582/aa.62.1.8. URL consultato il 23 giugno 2024.
  • (EN) Vecchioni L., Russotto S., Arculeo M. e Marrone F., On the occurrence of the invasive Atlantic blue crab Callinectes sapidus Rathbun 1896 (Decapoda: Brachyura: Portunidae) in Sicilian inland waters, in Natural History Sciences, vol. 9, n. 2, 2022, pp. 43-46, DOI:10.4081/nhs.2022.586. URL consultato il 24 giugno 2024.
  • (FR) Dimitri Veyssiere, Marie Garrido, Cécile Massé o, Pierre Noëlo e Pascal Romans, État des connaissances sur le Crabe bleu, Callinectes sapidus (Rathbun,1896). Focus sur la Méditerranée française et la Corse (PDF), Office de l’Environnement de la Corse, marzo 2022.

Pesca e acquacoltura

  • (EN) AAVV, Bad Water and the Decline of Blue Crabs in the Chesapeake Bay (PDF), in Chesapeake Bay Foundation Reports, 2008, pp. 1–24. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Azzurro E., Bonanomi S., Chiappi M., De Marco R., Luna G.M., Cella M., Guicciardi S., Tiralongo F., Bonifazi A. e Strafella P., Uncovering unmet demand and key insights for the invasive blue crab (Callinectes sapidus) market before and after the Italian outbreak: Implications for policymakers and industry stakeholders, in Marine Policy, vol. 167, 2024, pp. 1-8, DOI:10.1016/j.marpol.2024.106295. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Peyton Cagle e Jack Isaacs, Louisiana Blue Crab Fishery Management Plan (PDF), a cura di Chris Schieble, Ty Lindsey e Becky Chapman, Louisiana Department of Wildlife & Fisheries - Office of Fisheries, 2022. URL consultato il 26-07-2024.
  • (EN) Cannarozzi L., Poli C., Vassallo P., Cilenti L., Bevilacqua S., Lago N., Scirocco T. e Rigo I., Donor-side and user-side evaluation of the Atlantic blue crab invasion on a Mediterranean lagoon, in Marine Pollution Bulletin, vol. 189, 2023, pp. 1-12, DOI:10.1016/j.marpolbul.2023.114758. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Cavraro F., Anelli Monti M., Matić-Skoko S., Caccin A. e Pranovi F., Vulnerability of the Small-Scale Fishery to Climate Changes in the Northern-Central Adriatic Sea (Mediterranean Sea), in Fishes, vol. 8, n. 1, 2022, pp. 1-18, DOI:10.3390/fishes8010009. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Cerri J., Chiesa S., Bolognini L., Mancinelli G., Grati F., Dragičević B., Dulčić J. e Azzurro E., Using online questionnaires to assess marine bio-invasions: a demonstration with recreational fishers and the Atlantic blue crab Callinectes sapidus (Rathbun, 1986) along three Mediterranean countries., in Marine pollution bulletin, vol. 156, 2019, pp. 1-8, DOI:10.31230/osf.io/wudy7. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Cilenti L., Lago N., Lillo A. O., Li Veli D., Scirocco T. e Mancinelli G., Soft-Shell Production of the Invasive Atlantic Blue Crab Callinectes sapidus in the Lesina Lagoon (SE Italy): A First Assessment, in Journal of Marine Science and Engineering, vol. 12, n. 2, 2024, pp. 1-12, DOI:10.3390/jmse12020310. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Malcolm L. Comeaux, Settlement and Folk Occupations of the Atchafalaya Basin, 1969.
  • (FR) L. Croizer, Test d’engins de pêche sur l’espèce invasive de crabe bleu, Callinectes sapidus, dans trois lagunes d’Occitanie, Occitania, GILVAH / CRPMEM, 2021.
  • (EN) Di Salvo E., Virga A.N., Forgia S., Nalbone L., Genovese C., Nava V., Giorgianni C.M., Vadalà R. e Cicero N., Blue Bounty: Italy’s Dual-Use Solution for Crab Invasion, Nutritional Value, Safety, and Valorization, in Toxics, vol. 12, n. 7, 2024, pp. 1-18, DOI:10.3390/toxics12070506. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Glamuzina L., Conides A., Mancinelli G. e Glamuzina B., A Comparison of Traditional and Locally Novel Fishing Gear for the Exploitation of the Invasive Atlantic Blue Crab in the Eastern Adriatic Sea, in Journal of Marine Science and Engineering, vol. 9, 2021, pp. 1-12, DOI:10.3390/jmse9091019. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Kevrekidis K., Kevrekidis T., Mogias A., Boubonari T., Kantaridou F., Kaisari N., Malea P., Dounas C. e Thessalou-Legaki M., Fisheries Biology and Basic Life-Cycle Characteristics of the Invasive Blue Crab Callinectes sapidus Rathbun in the Estuarine Area of the Evros River (Northeast Aegean Sea, Eastern Mediterranean), in Journal of Marine Science and Engineering, vol. 11, n. 3, 2023, pp. 1-22, DOI:10.3390/jmse11030462. URL consultato il 16 luglio 2024.
  • (EN) Khamassi F., Rjiba Bahri W., Mnari Bhouri A., Chaffai A., Soufi-Kechaou E., Ghanem R. e Ben Souissi, Biochemical composition, nutritional value, and socio-economic impacts of the invasive crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 in central Mediterranean Sea, in Mediterranean Marine Science, vol. 23, n. 3, 2022, pp. 650-663, DOI:10.12681/mms.28878. URL consultato il 16 luglio 2024.
  • (EN) Marchessaux G., Mangano M.C., Bizzarri S., M'Rabet C., Principato E., Lago N., Veyssiere D., Garrido M., Scyphers S.B. e Sarà G,, Invasive blue crabs and small-scale fisheries in the Mediterranean sea: Local ecological knowledge, impacts and future management, in Marine Policy, vol. 148, 2023, DOI:10.1016/j.marpol.2022.105461. URL consultato il 16 luglio 2024.
  • (EN) Marchessaux G., Sibella B., Garrido M., Abbruzzo A. e Sarà G., Can we control marine invasive alien species by eating them? The case of Callinectes sapidus (abstract), in Ecology and Society, vol. 29, n. 2, 2024, pp. 1-12, DOI:10.5751/ES-15056-290219. URL consultato il 9 luglio 2024.
  • (EN) Mehanna S.F., Desouky M.G. e Farouk A.E., Population dynamics and fisheries characteristics of the Blue Crab Callinectes sapidus (Rathbun, 1896) as an invasive species in Bardawil Lagoon, Egypt, in Egyptian Journal of Aquatic Biology & Fisheries, vol. 23, n. 2, 2019, pp. 599 - 611, DOI:10.21608/EJABF.2019.34459. URL consultato il 18 luglio 2024.
  • (EN) Mendes Ruas V., Becker C. e D'incao F., Evaluation of the Blue Crab Callinectes sapidus Rathbun, 1896 Bycatch in Artisanal Fisheries in Southern Brazil, in Brazilian Archives of Biology and Technology, vol. 60, 2018, pp. 1-14, DOI:10.1590/1678-4324-2017160335. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Niţă V. e Nenciu M., Laboratory testing of the American blue crab's (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) capacity of adaptation to aquaculture systems at the Romanian coast, in Scientific Papers. Series D. Animal Science, vol. 64, n. 1, 2021, pp. 560-568. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Zohar Y,, Hines A.H., Zmora O., Johnson E.G., Lipcius R.N., Seitz R.D., Eggleston D.B., Place A.R., Schott E.J., Stubblefield J.D. e Sook Chung J., The Chesapeake Bay Blue Crab (Callinectes sapidus): A Multidisciplinary Approach to Responsible Stock Replenishment, in Reviews in Fisheries Science, vol. 16, n. 1-3, 2008, pp. 24-34, DOI:10.1080/10641260701681623. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • (EN) Perry, H.M., Adkins, G., Condrey, R., Hammerschmidt, P.C., Heath, S., Herring, J.R., Moss, C., Perkins, G. e Steele, P., A profile of the blue crab fishery of the Gulf of Mexico, Publication 7, Gulf States Marine Fisheries Commission, 1984.
  • (EN) Stagg C. e Whilden M., The history of Chesapeake Bay’s blue crab (Callinectes sapidus): fisheries and management (PDF), in Investigaciones marinas, vol. 25, n. 1, 1997, pp. 93-104, DOI:10.4067/s0717-71781997002500007. URL consultato il 9 luglio 2024.
  • (EN) Stagg C. e Whilden M., The history of Chesapeake Bay’s blue crab (Callinectes sapidus): fisheries and management (PDF), in Investigaciones marinas, vol. 25, n. 1, 1997, pp. 93-104, DOI:10.4067/s0717-71781997002500007. URL consultato il 9 luglio 2024.
  • Samuel Kersey Sturdivant e K. L. Clark, An Evaluation Of The Effects Of Blue Crab (Callinectes Sapidus) Behavior On The Efficacy Of Crab Pots As A Tool For Estimating Population Abundance, in Fishery Bulletin, vol. 109, n. 1, 1º gennaio 2011, pp. 48–55. URL consultato il 10 agosto 2023.
  • (EN) W. A. van Engel, The blue crab and its fishery in Chesapeake Bay. Part 2-Types of gear for hard crab fishing, in Commercial Fisheries Review, vol. 24, n. 9, giugno 1958, pp. 1-10.
  • (EN) W. A. van Engel, The blue crab and its fishery in Chesapeake Bay. Part 1. Reproduction, early development, growth and migration, in Commercial Fisheries Review, vol. 20, n. 6, 1962, pp. 6-17.
  • (EN) Zmora O., Findiesen A., Stubblefield J., Frenkel V. e Zohar Y., Large-scale juvenile production of the blue crab Callinectes sapidus (PDF), in Aquaculture, vol. 244, n. 1-4, 2005, pp. 129-139, DOI:10.1016/j.aquaculture.2004.11.012. URL consultato il 15 luglio 2024.

Cucina

  • (EN) Edward Behr e James MacGuire, The art of eating cookbook: essential recipes from the first 25 years, University of California Press, 2011, p. 52, ISBN 978-0-520-27029-9, OCLC 712114146. URL consultato il 24 luglio 2024.
  • (EN) James Calhoun Jr., Preparing Good Tasting Blue Crabs, AuthorHouse, 21 agosto 2015, ISBN 978-1-5049-2669-0. URL consultato il 25 luglio 2024.
  • (EN) William Deas, Two hundred years of Charleston cooking, 1930.
  • (EN) Matt Lee e Ted Lee, Charleston Kitchen, Clarkson Potter/Ten Speed, 2013, p. 58.

Voci correlate

Altri progetti

Altri progetti

  • Wikimedia Commons
  • Wikispecies
  • Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Callinectes sapidus
  • Collabora a Wikispecies Wikispecies contiene informazioni su Callinectes sapidus

Collegamenti esterni

  • (EN) Callinectes sapidus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
  • (EN) Callinectes sapidus, su Fossilworks.org. Modifica su Wikidata
  • Granchio blu, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  • (EN) DecaNet (eds), Callinectes sapidus, in WoRMS (World Register of Marine Species). URL consultato il 28 giugno 2024.
  • (EN) ITIS Standard Report Page: Callinectes sapidus, in Integrated Taxonomic Information System. URL consultato il 29 giugno 2014.
  • NOAA Fisheries - Blue Crab, su fisheries.noaa.gov. URL consultato il 9 luglio 2024.
  • Scheda di Callinectes sapidus dall'atlante delle specie aliene del mar Mediterraneo della CIESM, su ciesm.org. URL consultato il 20 giugno 2024.
  • (EN) An Exotic Species of Giant Crab Poses a Threat to the Biodiversity of the Mediterranean, su Campus de Gandia Ciencia, 8 luglio 2015. URL consultato il 27 giugno 2024.
  • SeafoodWatch - Blue Crab (PDF), su seafoodwatch.org. URL consultato il 10 luglio 2024.
  • Louisiana Blue crab - Louisiana Department of Wildlife & Fisheries - Office of Fisheries - Fishery Management Plan (PDF), su wlf.louisiana.gov. URL consultato il 12 luglio 2024.
  • Food and Agriculture Organization - Species Fact Sheets - Callinectes sapidus (Rathbun, 1896), su fao.org. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • Aquaculture North America 25 giugno 2019, su aquaculturenorthamerica.com. URL consultato il 15 luglio 2024.
  • Food and Agriculture Organization - Research programme on blue crabs.
  • Crab Cake: polpette di granchio ricetta originale del Maryland, su Buon Appetito by Paola, 14 gennaio 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  • Come cucinare il granchio blu (Callinectes sapidus) - Il giornale dei marinai, su https://www.ilgiornaledeimarinai.it/, 1º giugno 2021. URL consultato il 10 agosto 2023.
  • Antonella De Santis, Mangiare i granchi blu con le ricette di grandi chef, su Gambero Rosso, 9 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  • Gilda Giusti, Granchio blu: il killer del mare diventa re della tavola. E fa bene: possiede vitamina B12, su Firenze Post, 9 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  • Redazione Cronaca, Granchio blu, Coldiretti: danni per 100 milioni di euro. Veneto regione più colpita, in La Repubblica, 30 giugno 2024. URL consultato il 4 agosto 2024.
  • Giusi Fasano, «Il granchio blu ci rovina, tonnellate nelle reti. Vongole quasi sparite, per noi pescatori è la fine», in Corriere della Sera, 25 agosto 2023. URL consultato il 4 agosto 2024.
Controllo di autoritàLCCN (EN) sh85018989 · GND (DE) 4265407-5 · BNF (FR) cb15564549n (data) · J9U (ENHE) 987007293659105171
  Portale Artropodi: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di artropodi