Italia mia, benché 'l parlar sia indarno

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Italia mia
L'Italia turrita in lacrime
AutoreFrancesco Petrarca
1ª ed. originale1344
Generepoesia
Lingua originaleitaliano
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Italia mia, benché 'l parlar sia indarno o semplicemente Italia mia è la canzone numero CXXVIII (128) del Canzoniere di Francesco Petrarca.

Si tratta di uno dei primi componimenti poetici che metta in risalto l'unità storica, culturale e spirituale dell'Italia, al di sopra dell'estremo frazionamento statuale e di fazione allora vigente. Il poeta si rammarica e si indigna delle sventure che si sono abbattute sull'Italia (da lui esplicitamente chiamata sua patria), soprattutto in considerazione della passata grandezza di questa (pone gli esempi dei trionfi di Mario e Cesare). Bersaglio degli strali del poeta sono in particolare i vari signori locali (che regnano su le belle contrade, sulla del mondo la più bella parte) i quali si combattono incessantemente, facendo abbondante uso di milizie mercenarie transalpine (barbari furiosi, popol senza legge, gente ritrosa). Petrarca li esorta alla concordia tra loro, all'amore per attività più nobili e degne e profetizza il sorgere del popolo italiano contro l'oppressore straniero, non essendosi ancora estinto il valore dei loro antenati (l'antiquo valore ne gli italici cor' non è anchor morto).

Sebbene il testo non faccia riferimento a nessuna guerra in particolare, oggi si ritiene che fu composta verosimilmente nel 1344 o 1345 in occasione della guerra per il possesso di Parma tra Obizzo III d'Este da un lato e Filippino Gonzaga e Luchino Visconti dall'altro. Questi ultimi, in particolare, avrebbero assoldato delle milizie mercenarie germaniche.[1]

Nei contenuti si richiama in parte alle liriche politiche di Dante e Guittone d'Arezzo.[1]

«Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,
piacemi almen che' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio.»

(Italia mia, vv. 1-6)

Composizione

È costituita da 7 stanze di 16 versi ciascuna (9 endecasillabi e 7 settenari) e termina con congedo di 10 versi (5 endecasillabi e 5 settenari).
Lo schema metrico è: AbC BaC cDEeDdfGfG (per il congedo bDEeDdfGfG).

Sotto l'aspetto lessicale, è da notare come l'Italia sia sempre sottintesa ad altri sostantivi, accompagnati, a loro volta, da aggettivi che esprimono fortemente il senso d'affetto del poeta nei confronti della propria patria.

I versi 93-96 della canzone furono ripresi da Niccolò Machiavelli nella chiusa del Principe. L'incipit Italia mia ricorrerà inoltre nella lirica di Leopardi All'Italia.

Note

  1. ^ a b «Italia mia, benché 'l parlar sia indarno», su letteritaliana.weebly.com.

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